Lasciarsi amare: passivo profetico?

Viviamo in un campo Rom.

La nostra “soluzione abitativa” si compone di  ben tre vani: un camper, una vecchia roulotte e una baracchina, la nostra cucina. Viviamo come i nostri vicini. Un’unica differenza: noi l’abbiamo scelto… loro no. Il nostro esserci vorrebbe raccontare l’amore di un Dio che ama senza condizioni.

La condivisione è il nostro stile. “Vivere con” è la nostra missione. Come Gesù a Nazaret.

Lasciarsi amare è ciò che profuma le nostre giornate.

In questi tempi in cui “fare del bene”si riduce spesso ad un progetto più che un processo…, imparare a “lasciarsi amare”, vivere dando spessore a questo “passivo profetico”, può sembrare assurdo, addirittura contraddittorio.

Eppure, Gesù Cristo si è lasciato amare lasciandosi accogliere, lasciandosi convertire. Penso alle volte in cui, accolto, si è seduto alla mensa di pubblicani e peccatori. Ricordo l’unzione di Betania in cui, lasciandosi cospargere i piedi di profumo, impara a “lavare i piedi” dei suoi; o anche come permetta alla donna sirofenicia di spalancargli lo sguardo… di fargli cambiare idea: questa donna, con la sua insistenza, sembra obbligarlo ad allargare il perimetro della sua missione.

Lasciarsi amare è la perla nascosta della nostra missione, la chiave della nostra vita. Lasciarsi amare è spogliarsi dell’illusione di voler dare, insegnare, dire qualcosa… lasciarsi amare è qui il nostro modo di amare. É un’attitudine che si declina decentrandosi, lasciando all’altro la possibilità di essere protagonista, di fare il bene, di farmi del bene.

I Rom sono spesso conosciuti come coloro che chiedono… Il quotidiano condiviso fa sì che si abbia bisogno gli uni degli altri. Succede che manchi la cipolla per il sugo, il detersivo per le stoviglie, o che, per l’ennesima volta, abbia forato la camera d’aria della bici… Nel tempo ho constatato quanto mostrare queste fragilità e chiedere aiuto doni dignità: l’altro, spesso incasellato come colui che non ha niente, ha invece qualcosa da dare, può aiutarmi… Accettare la scommessa dell’interdipendenza mi permette di sperimentare la nostra comune umanità, la stessa Umanità di un Dio, il nostro, che ha avuto bisogno di trent’anni a Nazaret per imparare ad essere uomo.

Lasciarsi amare è lasciarsi convertire.

Comprendo la passività come lasciarsi educare da coloro che come “maestri ci aiutano a vivere la fede in modo più coerente (Papa Francesco, Giornata Mondiale del Povero, novembre 2017). Fede che è fiducia reale nella provvidenza di Dio. Lasciarsi convertire diventa allora consentire che la vita dei nostri vicini, così intrisa di Dio e di fiducia nella sua provvidenza, faccia breccia nella nostra vita.

La Provvidenza può farsi spazio quando le lascio spazio, se manco di qualcosa: la Provvidenza non può soccorrermi se basto a me stessa. Dai Rom imparo quanto la fede, per essere vera, abbia bisogno di incarnarsi: “dacci oggi il nostro pane quotidiano” è preghiera reale, plasticamente autentica. Quante volte mi è dato di ascoltare donne sussurrare preghiere… il dialogo con Dio è aperto e incessante. Per chi si ritrova ai margini, Dio è il solo rifugio, l’unica speranza. Chi ha ricevuto “per grazia” e ne prende consapevolezza, molto più facilmente inizia a rimettere in circolo ciò che ha ricevuto, perché ne sente quasi l’esigenza.

Un giorno l’intensità della vita non ci aveva permesso di partecipare all’Eucarestia. Ho chiesto a Dio un segno di vicinanza ed è arrivata la nostra vicina più intima, aveva in mano un pane caldo, appena sfornato… lo ha spezzato con noi. Ecco la tenerezza del Padre: lasciarmi convertire è lasciare che lo sguardo si faccia attento e profondo così da riconoscere il Figlio presente, camminante con noi… Risorto!

Lasciandomi amare, lasciandomi convertire… sento urgente, vivo e sempre attuale, l’invito a vivere la nostra vita contemplativa a partire da questo luogo marginale.

La vita mi chiede di imparare ogni giorno a guardare la realtà, le persone, i nostri vicini, i nostri amici, con lo sguardo amante di Dio… quando per grazia i miei occhi sanno andare oltre, sanno riconoscere la profonda umanità dell’altro, anche io, anche noi, diventiamo più donne, più umane e quindi più sorelle.

Sì, come scrive papa Francesco, la mano dei poveri”, il loro sguardo, è un invito costante ad uscire dalle nostre certezze, comodità…”. La loro mano, come quella del povero Lazzaro, è la sola mano capace di tirarci su dalle nostre onnipotenze e dagli inferi del nostro egoismo, l’unica capace di condurci sulla strada del ritorno, quella che ci fa camminare umilmente con il nostro Dio e riconoscere nella complessità della nostra storia il profumo di Pasqua.

Ps Chiara Benedetta

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