Missione è… esserci!

Ho scoperto le piccole sorelle quando lavoravo al Centro Missionario Diocesano. Erano gli anni ’70, la Chiesa del Post Concilio stava cercando forme nuove e l’ascolto di tanti missionari che rientravano dai vari continenti aveva qualcosa da dire anche a me. Sono entrata in Fraternità col desiderio di vivere in modo nuovo e diverso il mandato di Gesù: “Andate…” imparando a “gridare il vangelo con la vita” secondo il motto di fr. Charles.

Affascinata dalla vita di Nazareth, ho scoperto la dimensione contemplativa nella monotonia del quotidiano, pensando spesso alla Vergine Maria che custodiva nel cuore gli eventi, ponderandoli e cercando di coglierne il senso. La transizione è stata faticosa. Temevo essermi sbagliata. Dopo anni di coinvolgimento pastorale mi sentivo un po’ smarrita. Avevo poche occasioni di parlare con altri di ciò che mi stava a cuore e, certamente, la timidezza non mi aiutava. I primi anni di formazione sono stati fondamentali per approfondire una relazione più intima e familiare con Gesù -di cui avevo sete-, e con quanti avevo deciso di condividere il tesoro che dava senso alla mia vita.

La condivisione mi ha insegnato un nuovo modo di comunicare. Ero in Abruzzo per i lavori stagionali, quando il ragazzo che lavorava con me insegnandomi a zappare e innaffiare, ha cominciato a farmi domande sul senso della vita e della mia scelta … ho scoperto lì di aver imparato un linguaggio nuovo capace di farmi comunicare davvero. Ho rintracciato e gustato questa possibilità anche nei tempi successivi: prima come cameriera in un albergo romano, poi nell’Irpinia del dopo terremoto quando le domande su Dio, sulla vita e la morte, erano molte. Ho capito, in questa terra del Sud, provata dalla sofferenza innocente, che la sete del Vangelo, di un Dio vicino e umile, di una chiesa che diventa lievito, si nasconde nel cuore di molti e irrompe quando saltano i parametri ordinari…

Alla vigilia dell’impegno definitivo in Fraternità, mi è stato proposto di partire per le Filippine. Questo invio sembrava una conferma al mio desiderio iniziale di andare lontano, di entrare in un’altra cultura, di condividere con gli impoveriti di un meridione, più largo di quello nazionale, qualcosa del molto che avevo ricevuto. Capivo come il mio desiderio si impastasse con la chiamata del Signore, attraverso la voce della Fraternità. Fra preghiera ed esitazione ho compreso che la missione più che una questione geografica è un’attitudine del cuore, una passione che mi abita, la consapevolezza di essere inviata.

Giunta nelle Filippine, ho vissuto i primi anni in un quartiere di baracche alla periferia della città. Piano piano ho imparato a vivere immersa in un mondo diverso dal mio e a parlare una lingua ancor più diversa. Ho imparato ad ascoltare e scoprire i “semi del Verbo” presenti in una cultura che avevo bisogno di conoscere, ho capito meglio quanto il Vangelo offra sfide diverse in culture diverse, e quanto sia già presente nel cuore dei piccoli che, non avendo altri su cui contare, dipendono davvero da Dio. E così ho imparato anche a camminare con sorelle del paese, che stavano cercando come esprimere i valori della Fraternità in questo contesto.

Con gli anni che passano sento di poter affermare che la missione non sta tanto in quello che faccio, ma nel modo di vivere e nelle priorità che pongo, nel “come”, nel senso che do a ciò che vivo. C’è una nota particolare, di cui non riesco a esaurire la portata, in quello che voglio vivere come piccola sorella di Gesù: incarnazione e missione nella sua vita coincidono, in qualche modo sono direttamente proporzionali. Ma allora vivere la missione per me è essere consapevole che nulla è fine a sé stesso o sciupato, ma che tutto ha senso, tutto è prezioso se vissuto “per il vangelo, per Dio e per gli altri” perché …missione non è fare qualcosa a parte, ma esserci.

Mi torna alla memoria fr. Charles, il quale, di fronte all’esiguità dei frutti della sua vita scriveva: “…quello che posso fare in questo momento per gli altri è pregare e offrire…” Poi penso alla vita di Gesù per cui la missione altro non era che comunicare in tutti i modi possibile l’amore del Padre che lo aveva mandato: è nato nel silenzio di Betlemme, è cresciuto alla “scuola” di Nazaret fino a giungere al fallimento della Croce, nutrendo giorno per giorno la fiducia di Figlio che gli ha permesso di attraversare da Fratello la notte della Passione… fino all’alba della Resurrezione.

Ps Annarita

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