Guarire la memoria

Irachena, Mariam Farah è una piccola sorella che sette anni fa ha vissuto l’esilio forzato, come molti suoi connazionali. La recente inumazione di alcuni Yezidi si è rivelata un’opportunità per rileggere il vissuto e scorgere la luce che è nata, a partire proprio da quei giorni così dolorosi.

Qualche settimana fa, sono stati seppelliti i resti di centoquattro persone Yezidi uccise durante il nostro esilio forzato nel giugno 2014. Questo evento ha riportato alla memoria tutto ciò che ho vissuto da quel giorno in poi. A tutt’oggi non siamo ancora tornati. Il quartiere, le case, tutto è stato distrutto e non possiamo raggiungerlo a causa delle macerie.

L’esilio e la violenza provocate da Daech ci hanno sorpreso improvvisamente. Si è trattato di una violenza gratuita, senza causa, una violenza volta a schiacciarci soltanto perché più deboli e senza difese. Per sfuggire ai soprusi abbiamo lasciato tutto e siamo partiti. Sulla strada dell’esodo alcuni, per un tratto di strada,ci hanno caricati gratuitamente sulle loro auto. A causa della stanchezza e della calura una piccola sorella è caduta… e qualcuno si è fermato per darle dell’acqua da bere… bene così prezioso in quei giorni! Abbiamo camminato insieme a tante famiglie e ai bambini, fra gli esuli c’era anche un uomo che portava suo padre sulle spalle. Dopo alcune ore di cammino siamo giunti in un villaggio nel quale sapevamo di essere al sicuro. Entrando siamo stati accolti con acqua e dolci e il benvenuto di tante persone.

Dio ci ha dato la forza di partire, di camminare fino a raggiungere un luogo sicuro. Dio ha messo sulla nostra strada persone buone che aiutandoci ci hanno fatto sentite la Sua vicinanza. Attraverso piccoli gesti e semplici attenzioni ho visto la consolazione di Dio e la Sua presenza tra noi.

Credevo che l’esilio non sarebbe durato a lungo. Pensavo che presto avremo fatto ritorno nelle nostre case. Mi sbagliavo. Poco dopo ci è giunta voce che Daech sarebbe divenuto proprietario delle nostre case, dei nostri beni. Ricordo poi di aver ricevuto una telefonata: venivo licenziata dall’ospedale in cui lavoravo solo perché cristiana. Abbiamo perso tutto: case, beni, ricordi e il clima di amicizia che si respirava in quartiere, con i vicini, al lavoro, in ospedale. Il paesaggio era completamente distrutto e quindi era così difficile riorientarsi, non c’erano più punti di riferimento, nessuna traccia della nostra storia

Mi sono ritrovata così in una spirale di rabbia e violenza. Ho percepito quanto la mia vita, la mia esistenza fossero state distrutte. L’immagine delle violenze mi perseguitava, non potevo dimenticarle. La sofferenza mi ha trascinata verso la vendetta e il desiderio di annientare l’altro. I sentimenti di amarezza e di oppressione mi hanno prostrata.

Non ero in pace: la violenza era in me, dentro di me. Cosa fare? Mi sono ripiegata in me stessa, ho tagliato le relazioni. La cosa più difficile era rendermi conto che rispondevo alla violenza con la violenza. Dopo averla condannata, io stessa mi sono ritrovata violenta. Non potevo pregare per Daech: ci aveva fatto di tutto per insultarci e distruggerci ed era fuori dal mio cuore.

Poi ho incontrato un prete. Gli ho raccontato la violenza che era in me, la rabbia che mi abitava. Gli ho raccontato che avevo perso tutto. Dopo avermi ascoltata mi ha ricordato che Dio fa sorgere il sole sui buoni e sui malvagi e per tutti fa scendere la pioggia. Mi ha ricordato quanto ognuno di noi possa essere più o meno violento. Sì, posso esserlo anch’io.

Sono violenta contro Dio quando, con le mie colpe, i miei peccati, ferisco l’altro. Soffriamo quando ci sono dei peccatori in mezzo a noi e, a loro volta, questi soffrono a causa nostra perché, anche noi, siamo peccatori. Dio ci ama eppure noi siamo peccatori “Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” Rm 5,8. Dio mi ama e ama ciascuno di loro. Egli è misericordioso con me e con loro. Dio ha perdonato i miei molti peccati e la mia profonda violenza. Dio mi guarda con fiducia e speranza. Il sole sorge ancora sul mio volto e la pioggia continua a scendere su di me. Se oggi sono, siamo ancora vivi, è grazie alla generosità di Dio: il suo amore ha vinto la nostra violenza e il nostro peccato. Quel giorno il prete mi ha ricordato che, se è vero che ho perso tutto, è pur vero che ciò che resta, ciò che nessuna violenza può rapire, è la libertà interiore. Posso continuare a sperare nell’altro, nonostante la sofferenza e la violenza.

Allora il mio sguardo cambia. Posso riconoscere la loro umanità anche quando si continuassero a comportare con noi come lupi. Loro non sono la violenza che commettono. Sono convinti di ciò che fanno… così come san Paolo era convinto di ciò che faceva mentre perseguitava i cristiani.

Il cammino è stato e continua ad essere lungo: ho chiesto a Dio di aiutarmi: ”abbi pietà di me e tirami fuori da questa violenza”. L’esperienza della misericordia di Dio guarisce la memoria ferita: non ho dimenticato ciò che è successo ma le ferite, i ricordi non avvelenano più la mia vita. Vivo nella pace dal giorno in cui sono riuscita a pregare per Daech.

Ps Mariam Farah

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