Ti racconto un lavoro…

Ho appena telefonato a Magda e Angelita, due donne che mi hanno accompagnata, sostenuta, donne a cui devo molto di ciò che sono. Senza di loro non avrei potuto continuare a lavorare come ho fatto.

Sono in pensione da ormai due anni…

Come tante donne lavoratrici speravo di avere contributi sufficienti per una buona pensione lavorativa. Purtroppo non è così! A dire il vero, con il passare degli anni cominciavo a sospettarlo…Non sempre, infatti, le imprese dove lavoravo pagavano i contributi.

Era normale, all’epoca, sottostare a queste condizioni. Ciò nonostante, di fronte all’ingiustizia, mi arrabbiavo e provavo una grande impotenza: chi rivendicava un seppur minimo diritto si ritrovava per strada.

Se c’è qualcosa per cui ringrazio la vita e la Fraternità, è aver trovato un lavoro l’indomani del mio arrivo a Bilbao. Ero postulante. Lavoravo in nero, guadagnavo poco ma mi ritrovavo gomito a gomito con vari colleghi in una piccola cucina. Stavamo lì dentro tutto il giorno senza mai fermarci… non c’erano finestre e la luce artificiale sembrava arrestare il tempo, o almeno confinarci in uno spazio sospeso.  “Così è la ristorazione!”, dicevano; e tutte le feste, domeniche comprese, ero rinchiusa in quella cucina. Eppure ho  scoperto lì il sapore e l’odore del lavoro ben fatto e del vero cameratismo che, fra piatti, padelle e continui sfregamenti, rendeva sopportabile la durezza del quotidiano. Ringrazio perché ho sempre potuto vivere la mia vita di piccola sorella lavorando con orari quasi impossibili, che le sorelle della mia fraternità hanno “incastrato” e rispettato. Era la condizione di tante altre donne che, come me, cercavano disperatamente di avere un contratto di lavoro: qualcosa che il servizio domestico non ci offriva. Avere un contratto, infatti,  apriva la prospettiva delle vacanze, della tredicesima, di una pensione un po’ più dignitosa…

Poi ho scoperto che, anche arrivata all’età della pensione, non avrei mai raggiunto i contributi necessari per una pensione lavorativa… Ciò che conta è l’aver camminato in compagnia di una moltitudine, sì, una moltitudine di compagni e compagne che, come me, appartenevano a questa classe lavoratrice che voleva cambiare qualcosa nel mondo del lavoro. Insieme ci siamo impegnati nel Sindacato, abbiamo lottato per i nostri diritti, acquisendone alcuni e, nei difficili negoziati, rinunciando ad altri. Non abbiamo mai perso la speranza di ottenere condizioni di lavoro più dignitose e giorno per giorno abbiamo continuato a scommetterci: rinunciare significava giocarci la vita dei “nostri figli”! Per tre anni ho lavorato contemporaneamente in luoghi diversi: un’ora in uno, due in un altro, mezz’ora in un altro…Quante ore perse a correre da un posto all’altro… una vera acrobazia! Ho girato tutta la città, ne conoscevo tutti i vicoli; andavo da una parte all’altra con addosso il grembiule perché non avevo neanche il tempo per cambiarmi…

Nonostante questo, quello che vivevo non era paragonabile alla vita delle mie colleghe: loro, rincasando, avevano una famiglia a cui pensare, una casa da rassettare, la cena da preparare… io, tornando trovavo un pasto caldo e le sorelle della fraternità  facevano di tutto affinché  potessi avere  tempo per la preghiera e per il riposo. Era questa la dolorosa e sostanziale differenza. Io, avevo scelto questo lavoro, loro no. Ho sperimentato concretamente quanto la possibilità di scelta sia liberante e quanto distruttivo sia il contrario. in questo quotidiano che poco a poco mi ha “plasmata facendomi più rispettosa verso tutti e più piccola, desiderando essere semplicemente sorella di tutti e credendo nonostante tutto che le cose un giorno potevano cambiare, che tutto poteva essere più sopportabile, più umano, più conforme al Regno di Dio. Un giorno, in fraternità, abbiamo deciso qualcosa di molto importante: avrei rinunciato ad un lavoro “migliore”… giardiniera in città! Quanti vantaggi: stipendio, orario, stabilità… insomma, qualcosa che mi avrebbe cambiato la vita… Eppure, insieme abbiamo visto che era meglio rimanere lì, continuare ad essere presente in un settore più maltrattato e meno riconosciuto. Questa scelta non mi è costata, ma sono rimasta sorpresa dalla risposta del capo dell’impresa di giardinaggio quando gli ho detto che non avrei firmato il contratto che mi offriva: “Se avessi accettato non l’avrei capito: quel che ho compreso da te infatti è che, il vostro modo di vivere è “scendere” e questo, invece, ti avrebbe fatto “salire”… Mi ha sorpreso, perché senza troppo parlare, solo perché vivevo dove vivevo e lavoravo con chi lavoravo, quest’uomo aveva capito la nostra opzione: una vita condivisa con chi, spesso, non ha altre possibilità.

La sua risposta mi ha confermata. Ho ringraziato Dio e le mie sorelle per la decisione presa: continuare lì, per le strade, da un posto all’altro, nelle interminabili ore di pulizie e facendo acrobazie con gli orari.

Guardando indietro… ricordando gli anni passati, posso solo, cantare la grandezza di ciò che è piccolo, accarezzare le mie mani e scoprire che hanno ancora impresso qualche segno del lavoro fatto.

La chiamata a vivere la nostra “vita religiosa” nel cuore del mondo, la possibilità di guadagnarci il pane quotidiano con e come tutte le vicine, fa sì che oggi mi ritrovi a pregare il Padre Nostro con una profondità altra , e a gustare l’Eucaristia con più rispetto e autenticità. Sì, la mia vita condivisa e offerta nel lavoro ha regalato dignità alla mia esistenza perché mi ha reso più sorella dei “piccoli” e di Gesù.

Ps Rosaura

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