I miei piedi nei tuoi passi

Lo scorso anno ero accanto a Margarita, una piccola sorella Otomi (popolazione indigena del Messico centrale). Era in ospedale, ormai in fin di vita. Improvvisamente, come un sussulto, ho cantato il Padre Nostro nella sua lingua. Margarita ha aperto gli occhi e ha sussurrato: “Ti ricordi ancora…”. Era un ricordo uscito dal cuore… e che mi ha sorpreso lasciandomi la sensazione di aver toccato un profondo mistero.

Poi, qualche mese fa, mi sono lasciata calamitare dal messaggio dell’ultima Enciclica… quelle parole rintracciano e descrivono la densità della mia vita in Messico: ciò che ho ricevuto e che sono diventata.“Un essere umano è fatto in modo tale che non si realizza, non si sviluppa e non può trovare la propria pienezza «se non attraverso un dono sincero di sé». E ugualmente non giunge a riconoscere a fondo la propria verità se non nell’incontro con gli altri: «Non comunico effettivamente con me stesso se non nella misura in cui comunico con l’altro…” Fratelli Tutti §87

Lode a te Dio della vita e signore della storia

Avevo venticinque anni quando arrivai fra gli Otomi, nel villaggio di San Clemente, ai piedi della Sierra. Nel cuore custodivo il desiderio e la volontà di “farmi sorella”, indigena fra gli indigeni. Arrivando spalancai occhi, cuore e mente, lasciando che tutti i miei sensi si attivassero. Disposta a tutto, tesi l’orecchio per cogliere i suoni di una lingua così diversa. Imparai a camminare per i sentieri di montagna riconoscendone piante, pietre, insetti… Per portare pecore e capre al pascolo, imparai a conoscere quell’ambiente e a riconoscere da dove arrivano le nubi che annunciano la pioggia. Compresi quali fossero i passaggi da evitare affinché il gregge non respirasse “l’aria cattiva” che lo danneggia. Appresi infine a ritrovare il sentiero del ritorno imparando a dosare il carico di legna sulle spalle così da non scivolare. Gioia di rendermi conto come il mio corpo sia stato un “alleato” importante: ha risposto al mio progetto di vita…“É come se tu fossi nata qui” ripetevano i vicini”.

Lode a te o Dio per la persona che tu hai creato

Per un’italiana, è una sfida “farsi sorella” in una cultura silenziosa, timorosa e resa diffidente da una dolorosa storia di conquiste e lotte interne(etc.). Al tempo della fondazione, quando il capo villaggio ci chiese perché volessimo andare a vivere lì, ps Margarita rispose…“Per offrire ogni giorno il nostro saluto!”. In quella cultura silenziosa le mie sorelle mi richiamavano all’ordine per la risata sonora e il timbro di voce. Ma potevo davvero poco… Uscivano spontaneamente ogni volta che scoprivo la bellezza e la novità di quel popolo e di quella terra. Mi chiedevo spesso come accordare la mia spontaneità con l’inserimento. Ricordo di essermi data un tempo per esercitarmi a mantenere una voce sommessa. Fino al giorno in cui don Matteo, nostro vicino, si presentò in fraternità. Aveva un aria visibilmente preoccupata, da giorni infatti non sentiva il timbro della mia voce. Venne a chiedermi cos’è che mi rendesse triste: temeva infatti che non mi piacesse più la vita fra le montagne. Che spirito ampio! Geniale! Commossa  spalancai un sorriso e così pure le mie sorelle. Don Matteo se ne ripartì sollevato.

Lode a te o Dio perché ci fai partecipi del tuo spirito libero e creatore

L’inculturazione non è solo imitazione anche se indubbiamente è necessario “appropriarsi” di certi gesti, riti e modi di fare…Inculturazione è entrare in punta di piedi, con umiltà e rispetto, chiedendo “permesso”, in una terra e storia sacre, portatrici di una visione globale che avvolge tutto, così da unire il cammino dell’umanità con la presenza di Dio. Inculturazione è amare fino a “riflettere” nella mia vita la loro stessa vita… È un processo che pian piano si declina nel vivere quotidiano portando i pesi gli uni degli altri, cercando l’acqua alla sorgente, macinando il granoturco per “la tortilla” che i vicini chiamo “ostia “ – viatico – perché non manca mai sulla tavola e sempre è offerta a chi viene. É stare per “sentire” la fatica e il dolore, cogliere la speranza e il desiderio di vita presente nel cuore di ognuno; è restare per “sentire” i rancori, le rivalità, il potere che schiaccia, la violenza nelle sue manifestazioni… è imparare insieme a perdonare e a ricominciare, ricordando che siamo tutti fratelli e sorelle così come celebra durante l’annuale festa del villaggio.

Ho sperimentato, attraverso tutte le fibre del mio essere, il fascino di un’altra cultura, la bellezza dei riti, dei simboli, di ogni gesto e oggetto: niente è superfluo o casuale, tutto è carico di senso e trascende i bisogni del gruppo stesso. Tutto è per la vita, la vita del cosmo e dell’umanità. Lo sguardo, il gusto l’olfatto si sono trasformati, affinati, dono di Dio di cui rendo grazie. E così l’incenso, benedicendo tutto, unisce la terra e il cielo, le varie erbe aromatiche, il sapore del pulche fermentato (liquido che si estrae dall’agave), l’odore della legna e il calore del fuoco sempre acceso.

Ho sentito nel mio corpo la fatica: tutto era sforzo fisico. È successo che la stanchezza e la durezza della vita mi abbiano fatto dubitare sul senso dello “stare”. Non è mancata una profonda tristezza: penso alle donne sempre ricurve, sempre “sotto” qualche peso,  un carico di legna, o di acqua o l’ultimo nato. Penso a tutta la fatica mentre macinavamo il granoturco.

Questa “incarnazione” è stata necessaria per “cercare insieme” come alleggerire le fatiche, alzare il nostro sguardo e vedere la realtà da un altro punto di vista. Superando gli ostacoli del “si è sempre fatto così”, assieme alle donne del villaggio ci siamo organizzate per acquistare un mulino elettrico. Quale gioia vedere finalmente il nostro corpo retto e il nostro sguardo “fiero”!

Lode a te o Dio per la dignità di ogni persona                             

Posso dire con gratitudine che essere stata adottata dalla cultura indigena Otomi, è stato un regalo!!! È il centuplo promesso a chi, a causa di Gesù e del suo Vangelo, lascia padre, madre, fratelli, terra…Un regalo che, come annunciato, è accompagnato anche da tribolazioni.

Giorno dopo giorno, nella preghiera, ho scoperto come la figura del Servo di Yahweh, descritto nei quattro canti di Isaia, dava senso alla vita dei vicini qui a San Clemente e prendeva corpo anche in me.

Ho scoperto quindi come “inculturazione” significhi “assumere tutto” alla maniera del Servo. I popoli indigeni vogliono conservare la loro identità, le loro tradizioni e valori radicati nel rispetto della natura e delle sue leggi. La loro missione è quella di lottare per difendere la Terra e non vogliono essere assimilati all’attuale trend globalizzante. Se ricordo le umiliazioni vissute durante le procedure per ottenere l’acqua potabile, la luce elettrica o anche solo per dar loro voce, mi rendo conto che proprio in quelle circostanze ho imparato lo spessore della compassione e della solidarietà.

Gesù di Nazaret si è identificato con la figura del Servo di Yahweh fino a dare la sua vita. Lui, “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo …” Fil 2,6

Lode a te o Dio, per tuo figlio Gesù,
la sua incarnazione mi invita
a “mettere i miei passi nei suoi passi…”

Ps Giuseppina Donata

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