Solo ora so chi sei

Sono cresciuta a Bagdad, una città in cui la convivenza fra le diverse confessioni religiose [musulmani sciiti, sunniti; cristiani ortodossi, cattolici, caldei, assiri; kurdi, yazidi…] era percepita più come una ricchezza che come un ostacolo. Una volta entrata in Fraternità, mi è stato chiesto di andare a vivere a Mossul, una città nel nord dell’Iraq. Una città che non conoscevo.

Poco dopo il mio arrivo ho fatto esperienza di cosa sia il fanatismo religioso: i bambini e gli adolescenti ci lanciavano sassi, ci sputavano, insultavano il Vangelo e la croce che avevamo al collo. Nelle Moschee, le predicazioni erano anti cristiane. Lo scontro era quotidiano.

Ad ogni bambino che mi offendeva chiedevo: “Perché lo fai? Il bambino correva a casa ed io, arrabbiata, lo inseguivo, tentando di parlare con sua madre. Con il tempo mi sono resa conto che, appena avvistavo un bambino, nel cuore preparavo la controffensiva.

Un giorno mio fratello è venuto da Bagdad in visita a Mossul. Ne abbiamo approfittato per una passeggiata. L’ora avanzava e abbiamo deciso di mangiare fuori. Ho detto: «Vieni, andiamo da quel negoziante, perché è cristiano». E mio fratello, con una voce intristita, ha replicato: “Maryam, ma che succede? Non ti riconosco. Quando mai in famiglia abbiamo scelto un negoziante solo perché cristiano?”.

La reazione di mio fratello mi ha costretta a rientrare in me stessa. Senza rendermene conto ero diventata preda del fanatismo: perché il fanatismo produce fanatismo. È stato un momento molto difficile. Ho addirittura pensato di lasciare Mossul. Poi, confrontandomi con un prete ho compreso che non erano certo state le Piccole Sorelle ad inviarmi a Mossul, era Dio stesso a desiderare che fossi lì. Ho scoperto che quanti incontravo avevano bisogno di conoscere il vero volto di Gesù perché ciò che conoscevano di lui era spesso deformato da una predicazione errata. Ho sentito che le mie reazioni confermavano ciò che ascoltavano sul conto di Gesù e dei suoi seguaci. Mi è cresciuto dentro il desiderio di rivelare il vero volto di Gesù, il suo volto buono. L’amore di Dio per loro poteva passare attraverso il mio amore verso di loro.

Sì, le mie “controffensive” cariche di rabbia sfiguravano il vero volto di Cristo. Lui non aveva bisogno dell’avvocato difensore che era in me. A Dio bastava che fossi solo e soltanto testimone del suo amore e della sua bontà.

La realtà è rimasta la stessa. Io no. Adesso, la mia preoccupazione non è più cosa fanno o cosa dicono né tantomeno se si tratti di rispetto.

La mia preoccupazione è cercare come farmi sorella, come rendere concreta la bontà di Dio. “Vorrei essere abbastanza buono perché si possa dire: se il servo è così, come sarà il suo padrone?”. L’indicazione di Charles de Foucauld mi ha confermata. Basta posare una parola, un sorriso. Bastano poche piccole cose per dire il bene. Basta poco per raccontare la bontà di Dio.

A Mossul lavoro in ospedale. Consegno i pasti. Quando ne avanzano ricomincio il giro. Qualche tempo fa una ragazza era solita prendere una seconda porzione, così quando restava qualcosa avevo l’abitudine di andare da lei. Suo fratello, poco più che adolescente, un giorno mi ha chiesto di parlare. “Sono dispiaciuto” -mi ha detto- “Ti ho tirato dei sassi, ti ho insultata e ora, solo ora so chi sei”.

Ps Maryam Farah

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